La manipolazione femminile con attacco alla virilità dell’uomo

Ebbene sì, alcune donne manipolano gli uomini attaccandoli o rafforzando ciò che è loro più caro: la virilità. Questo comportamento ha lo scopo di perseguire i propri interessi personali e indurli a compiere determinate azioni. Non è raro che dalle loro bocche escano frasi del tipo: “Se fossi davvero un uomo, lo faresti senza pensarci” oppure “Ma che uomo sei se non riesci nemmeno a dimostrarmi quanto mi ami?” L’uomo, sentendosi inadeguato e messo in discussione, può finire per cercare approvazione dalla donna, che talvolta, al contrario, somministra – come fosse uno sciroppo concentrato – rari complimenti, salvo poi elargire offese e “frecciatine velenose” o “ricatti emotivi” con relativa facilità.

Si crea così un senso di bisogno costante, che l’uomo può erroneamente interpretare come una forma di amore. In parte, infatti, lo è, perché fa leva su uomini che hanno imparato, a causa di vari fattori (come una famiglia assente o ipercritica, scarsa autostima, insicurezze personali mai risolte), a percepire il coinvolgimento emotivo solo attraverso meccanismi di struggimento e sudditanza. Si crea una condizione di deleteria di dipendenza affettiva che viene percepita come “necessaria” per far scattare la sensazione di vivere un legame forte. In realtà è una trappola da cui è difficile uscire. Spesso, anche quando si intende farlo, ci si ritrova sospesi in attesa di un finale che possa restituire dignità e risposte a domande lasciate in sospeso; ma tali risposte spesso non arrivano, poiché la mancanza di una conclusione chiara diventa un ulteriore strumento di controllo.

L’attesa di una soluzione si rivela dunque inutile e dolorosa, uno stato di sospensione che genera angoscia e che si autoalimenta, come un veleno che crea dipendenza. Un uomo potrebbe persino essere indotto a tagliare i ponti con un caro amico non gradito alla donna, ricevendo in cambio una sorta di ricompensa, espressa da frasi come “Sei davvero un uomo forte quando mi dimostri che per te sono io la priorità” o “Solo chi ci tiene davvero a me farebbe una cosa simile”, che lo fanno sentire momentaneamente apprezzato. Quando poi l’uomo non si conforma alle aspettative, parte una campagna denigratoria che può coinvolgere anche persone esterne, oltre a offese e attacchi sul personale. Se nemmeno questo produce l’effetto desiderato, si passa a strategie apparentemente non aggressive, come l’atteggiamento da “agnello impaurito”, che giustifica i propri comportamenti con ragioni esterne e indipendenti dalla propria volontà. Se ancora non funziona, si torna ad attacchi verbali (e, in casi estremi, anche fisici) più intensi, mentre lei ovviamente veste sempre i panni della vittima e fa leva sul senso di colpa. Spesso amici e conoscenti finiscono per crederle, ascoltando solo la sua versione parziale dei fatti: l’uomo viene alle volte dipinto come un “senza palle”, altre volte come un mostro insensibile, altre ancora come uno smidollato che non sa prendere in pugno la propria vita.

In certi casi, se si supera questa fase di conflitto costante con un’indifferenza glaciale, la donna potrebbe iniziare a provare qualcosa per l’uomo. Attenzione: si tratta però di un sentimento distorto e malsano, poiché – essendo incline a relazioni basate sulla dominanza e la sottomissione – non contempla rapporti paritari. Nel momento in cui assume il ruolo di parte sottomessa, tende a riposizionare l’uomo in quello dominante e, di conseguenza, gli mostra maggiore considerazione. Tuttavia, è un meccanismo fortemente tossico, insostenibile sul lungo termine. Questo perché, per mantenere la relazione, potrebbe essere necessario assumere il ruolo del manipolatore, investendo il minimo nella relazione, elargendo briciole sentimentali e attuando un ribaltamento delle dinamiche di potere. Di conseguenza, tale strategia è un gioco al massacro: logora chi la mette in atto, costretto a un ruolo innaturale e crudele, e distrugge la vittima, intrappolata in un paradosso perverso di cui è attratta. Una situazione dove è richiesto un controllo costante e una freddezza calcolata, ma che alla fine non fa altro che consumare entrambi. 

È evidente che queste dinamiche non si riproducono sempre in modo identico, ma seguono spesso schemi ricorrenti.

Da parte dell’uomo occorre un vero e proprio reframing: imparare a ristrutturare la percezione di sé e della relazione, per riconoscere gli schemi tossici e uscirne consapevoli. Altrimenti si resta impantanati in una situazione deleteria per la propria condizione personale, e alcune volte ciò si può ripercuotere anche sulla vita professionale o sulle persone vicine.


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