Se stai costruendo qualcosa di tuo — un progetto, un’impresa, un’idea che ti definisce — allora la dedizione è comprensibile, persino necessaria.
Ma se ti trovi in un impiego subordinato, in un ufficio statale, o in un qualsiasi settore in cui il tuo ruolo è intercambiabile, ridimensiona le aspettative. La macchina non si ferma per nessuno, e tu, in quel contesto, non sei un protagonista: sei una pedina funzionale, sostituibile in tempi rapidissimi.
Non sto sminuendo il tuo impegno. Sto solo dicendo la verità che pochi hanno il coraggio di ammettere: il sistema non si accorge della tua assenza. Se domani non ci fossi più, l’ambiente che oggi ti assorbe con riunioni, email, briefing, premi produzione e urgenze fittizie andrebbe avanti con una velocità disarmante. Al massimo, un commento formale: “era una brava persona”. Poi, il silenzio.
Credere che quel lavoro sia “la tua missione” è un autoinganno coltivato dal sistema per tenerti docile. Un altro può prendere il tuo posto domani, e nessuno sentirà il bisogno di fermarsi. Neanche per un secondo. L’azienda non piange. Lo Stato non piange. Il sistema non ha empatia, ha solo metriche, obiettivi da raggiungere.
Hai mai notato nei corridoi una vecchia foto sbiadita di un collega del passato, ormai dimenticato da tutti? Nessuno sa più chi fosse, nessuno ricorda cosa facesse. Se la tua foto finisce su una bacheca, sarà solo un pezzo d’arredamento che nessuno, dopo qualche tempo, guarda davvero. È questo il destino che attende chi investe tutto se stesso in contesti che non restituiscono valore umano, solo efficienza operativa.
Anche nel lavoro autonomo, attenzione. La dedizione è uno strumento, non un fine. Se perdi la prospettiva, diventi tu stesso schiavo del tuo progetto, dimenticando perché hai iniziato. La tua vita non deve essere assorbita da un’unica dimensione. C’è qualcosa che viene prima: la tua identità, i tuoi valori, ciò che per te ha davvero significato.
Non vivere prigioniero di logiche aziendali, dinamiche tossiche, discussioni da bar o conflitti inutili. Quelle guerre minori tra colleghi, fatte di pettegolezzi e giochi di potere miserabili, non valgono nulla. Drenano solo energia mentale e spirituale. Ti svuotano. Ti tolgono la capacità di meravigliarti del mondo, di sentire che sei vivo.
Non dimenticarti chi sei. Non confondere la funzione che svolgi con il tuo valore. E soprattutto, non sacrificare la tua esistenza in nome di chi ti considera solo un numero. Fai quello che devi per portare avanti la famiglia, ma senza abnegazione inutile.
La società attorno a te cerca di assorbire la tua identità. Il sistema non è tuo amico, ti usa finché servi. Poi ti scarica. Come fa con tutti.
Sei molto più di tutto questo…
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Ciò che si decompone non può rigenerarsi, ma può solo rinascere, sotto altre forme.
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