Andrea Russo: un suicidio che non chiede pietà né memoria

Aldo Petrillo

Attualità, Società & Cultura

Un ragazzo ha scelto di suicidarsi in modo brutale, lasciandosi risucchiare dal motore di un aereo in funzione. Un gesto che non potremo mai comprendere fino in fondo. Le motivazioni di una simile scelta rimarranno opache, forse per sempre.

L’8 luglio 2025, all’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo), Andrea Russo, 35 anni, è morto dopo essersi volontariamente gettato nel motore sinistro di un Airbus A319 della compagnia Volotea, in fase di rullaggio e pronto al decollo verso Oviedo, in Spagna. Il ragazzo era arrivato in aeroporto guidando una Fiat 500 rossa, percorrendo un tratto di strada contromano. Parcheggiata l’auto davanti allo scalo, è entrato nell’area degli arrivi e da lì ha aperto con forza una porta di emergenza che portava direttamente sulla pista. Un testimone ha riferito di aver visto Russo prima tentare di gettarsi nel motore destro, per poi correre attorno all’aereo fino a riuscire nel suo intento sul motore sinistro, davanti agli occhi sconvolti di 154 passeggeri e 6 membri dell’equipaggio.

L’atto in sé è un’autocondanna radicale del proprio essere. Una volontà non solo di togliersi la vita, ma di annientarsi. Disgregarsi. Ridursi in pezzi. Come se volesse dissolversi del tutto, tornare all’oblio, cancellare ogni traccia del proprio passaggio in un mondo che non ha mai sentito come proprio. Penso che non volesse più esistere, nemmeno come memoria. Solo sparire. Totalmente.

Andrea Russo era originario di Calcinate, in provincia di Bergamo, dove era nato il 28 gennaio 1990. Sua madre aveva lavorato come ostetrica nello stesso paese. Durante l’adolescenza aveva avuto gravi problemi di tossicodipendenza, per i quali era stato ospite in comunità di recupero. Negli ultimi anni si era trasferito a Mornico al Serio, svolgeva piccoli lavori di riparazione e cercava faticosamente di ricostruirsi una vita.

Ma ciò che bruciava davvero dentro di lui, ciò che marciva silenziosamente nella coscienza, ci resta ignoto. Possiamo solo tentare di intuirlo, riflettendo su quanto dolore possa insinuarsi nella psiche quando la vita prende la piega peggiore. E su quanto quel dolore, senza voce, sia capace di corrodere ogni cosa dall’interno.

La depressione, a volte, intossica la coscienza al punto da renderla incapace di metabolizzare il dolore.

La Procura di Bergamo sta indagando per comprendere se dietro questo gesto estremo possano esserci stati fattori esterni, aprendo un fascicolo per istigazione al suicidio. Nell’auto, piena di oggetti disparati, non sono stati trovati messaggi o lettere che potessero chiarire le ragioni di un atto così disperato. Anche i rapporti con l’ambiente aeroportuale sono stati esclusi come possibile movente.

Eventi del genere ci ricordano quanto dolore resti ignorato, invisibile, rimosso. Quanta sofferenza si consuma ogni giorno in silenzio, senza che nessuno se ne accorga fino al punto di rottura.

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