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¡Que viva el macho! (1) Critica dei “gruppi di autocoscienza maschile”

Figura maschile

«La mascolinità in quanto tale è sotto attacco.»

(Donald Trump, 18/10/2024)

Uomini, dobbiamo parlare dei “gruppi di autocoscienza maschile“. Come l’Associazione Maschile Plurale, che così si presenta sul proprio sito1: «Siamo una rete di uomini con età, storie, percorsi politici e culturali e orientamenti sessuali diversi, radicati in gruppi locali. Promuoviamo una cultura che superi il patriarcato e una società liberata dal maschilismo e dal sessismo». L’associazione, nata nel 2007 «dopo la pubblicazione di un Appello nazionale contro la violenza sulle donne, svolge una funzione di servizio alla rete nazionale di uomini e gruppi che si riconoscono in un percorso comune di cambiamento rispetto ai paradigmi della mascolinità sessista e patriarcale … Stimoliamo l’impegno pubblico e personale per l’eliminazione di ogni forma di violenza di genere». Viene da domandarsi che c’entrino sessismo e violenza con la mascolinità, ma andiamo avanti: basta sfogliare la sezione “News” del sito per vedere tutte le attività, convegni, conferenze, installazioni artistiche etc. che promuovono, ad esempio il ciclo di incontri dall’accattivante titolo “Uomini che ascoltano, che si raccontano, che costruiscono” e descritti come “Gruppi di condivisione per intrecciare dialoghi, scambiare esperienze”.

Ascoltarsi, raccontarsi, condividere esperienze: può sembrare che non ci sia nulla di male. Ma dietro a questa facciata c’è la visione ideologica, vero e proprio incubo misandrico e delirante, secondo cui tutti i mali del mondo dipenderebbero da una categoria umana ben precisa, il “maschio bianco etero-cis“. Esso opprimerebbe tutte le altre categorie umane e sarebbe responsabile di ogni fenomeno negativo della storia e della società contemporanea, dalle guerre alla fame nel mondo, compresa la cosiddetta “violenza di genere” (leggasi violenza maschile sulle donne) e compresi gli stessi problemi che affliggono specificamente gli uomini, quali mali imprevisti “di ritorno” della cultura del dominio e privilegio patriarcale.

Secondo i sostenitori di questo delirio ideologico, tale condizione di presunto potere e privilegio si autoperpetua, perpetuando così l’oppressione generale di ogni altra cosa esistente, anche mediante la “cultura egemone“. Il modo in cui gli esseri umani vengono “socializzati” (cioè istruiti, formati come esseri sociali), dall’uso del linguaggio a ciò che viene trasmesso dalla famiglia e a scuola, sarebbe infarcito di codici, strutture di pensiero, stereotipi, pregiudizi, tradizioni, nozioni, premesse teoriche ingiustificate e “nascoste” (camuffate da “oggettività” o “realtà”), e perfino gusti e preferenze tipiche, strutturate in modo tale che gli individui finiscano condizionati a rimanere dentro il proprio “ruolo di genere” prefissato, perpetuando così lo status quo.

In questo senso “mascolinità” e “femminilità” non sarebbero realtà naturali, causate dalla natura sessuata (anisogamia) della specie, ma arbitrari “costrutti sociali“, il cui effetto sarebbe “socializzare” i “maschi bianchi etero-cis” come privilegiati e oppressori, ogni altra categoria come oppressa e in schiavitù, e che tale situazione si perpetui in automatico, ab aeterno et in aeternum. Il femminismo, ovviamente, incarna la titanica lotta di liberazione delle donne dall’oppressione, ma a tal fine hanno bisogno della “alleanza” del sesso maschile. L’uomo deve risvegliarsi (woke significa appunto “risvegliato”) alla propria condizione di privilegiato e oppressore, fare “mea culpa”, e decidere di mettersi al lavoro (nel gergo tecnico woke, do the work) per cambiare: ossia anzitutto per “decostruire” il “costrutto” della mascolinità tradizionale (tossica e radice di ogni male sociale e cosmico) che porta dentro di sé, e forgiare modelli “alternativi” di maschile, mediante cui ottenere il perdono dei propri peccati e consentire la fine dell’oppressione e una società finalmente giusta ed equa: niente più guerre, povertà, malattie, sciami di locuste, file alle poste eccetera.

Tornando a Maschile Plurale, dicevamo che è un’associazione che coordina una rete di gruppi locali: un esempio di singolo gruppo locale è lo “Spazio Mask.You” di Brescia2. Un giro sui loro social è utile per vedere quali sono realmente i “modelli alternativi di mascolinità” che vengono spinti giù per le gole dei “maschi bianchi etero-cis”. Il gruppo si descrive come «Spazio di condivisione in cui esplorare la mascolinità». Sembra bello, uno s’immagina qualcosa tipo un ritrovo in un contesto lontano dalla città, dove praticare attività fisiche e manuali fuori dalla routine e dalla comfort zone, e lavorare sui propri limiti e debolezze insieme ad altri uomini… Ma già lo slogan scelto dallo spazio fa presagire tutt’altro: “Scoprirsi per cambiare“, ah, non va bene la mia mascolinità così com’è? Deve cambiare? E in che senso di preciso?

Un post sembra offrire delucidazioni (corsivi nostri, qui e nel seguito): «Cosa si fa in un gruppo di autocoscienza maschile? Nessuno ti chiede il segno zodiacale. Non è una seduta di terapia. Non è un cerchio del pianto obbligatorio. Non è una gara a chi ha letto più Gasparrini o ascoltato più Gheno» (riferimento a due intellettuali femministi) «Cosa succede davvero: ci si racconta, non si giudica, ci si mette a nudo, si sbaglia, si cambia idea, si riprova» fin qui sembra quasi accettabile. «È uno spazio aperto a tutti i socializzati uomini…» ecco, come non detto. N.b.: quando il sottoscritto ha rimarcato questa formula “sospetta”, i responsabili della pagina si sono affrettati a cambiare il testo3 in «spazio maschile per capire cosa voglia dire, oggi, essere uomini»: sicuramente ora l’esca funziona meglio.

Scorriamo titoli e tematiche degli eventi di “autocoscienza maschile” promossi dal gruppo e si capisce subito cos’è che si esplora davvero in questi ambienti e dov’è che si vuole andare a parare: “Privilegio e alleanza”; “Decostruirsi a tutti i costi”; “Identità di genere“; “Tavola rotonda: Uomini consapevoli oltre il patriarcato“; “Linguaggio inclusivo“; la rassegna di cinema “Queer gaze, per esplorare stereotipi di genere, identità e possibilità altre“, eccetera. Tutto chiaro, no?

Un volume corale che indaga le radici del conflitto tra uomini e donne, intrecciando prospettive diverse attraverso politica, società, diritto, storia e filosofia. Un’analisi lucida che smaschera i meccanismi alla base della guerra tra i sessi e apre la via a nuove possibilità di dialogo.

Arriviamo agli ultimi esempi di questa breve rassegna: “Osservatorio Maschile 2023-2053” e “Mica Macho”. La prima presenta così4 la propria mission: «Per costruire una prospettiva maschile sulle questioni di genere e coinvolgere gli uomini attorno a questi temi, sviluppiamo progetti e formazioni» e tra le attività dichiarate figurano podcast, webinar, “gruppi di confronto sul maschile”, cicli di incontri per adolescenti e formazioni per insegnanti e aziende – alcune di queste, ragionevolmente, non a titolo gratuito: quello dei workshop e seminari vari di formazione e “sensibilizzazione” è anche un rampante business5.

“Mica Macho”, in una presentazione del proprio libro Cosa vuol dire fare l’uomo?, si descrive così6: «una community nata nel 2020, uno spazio aperto per ripensare il maschile, una pluralità di voci, un movimento di persone, stanche della virilità machista, che si ritrovano a ragionare sul significato della parola maschio». In uno dei loro post7 si può vedere uno dei Mica machi con Alessandro Zan, ex attivista di Arcigay ora europarlamentare, il quale facendo un curioso balletto gli spiega che è bene insegnare ai bambini maschi a giocare con le bambole, altrimenti, se li si fa giocare coi soldatini, rischiano da grandi di commettere dei “femminicidi”; un altro, recentemente intervistato da Domani8, ha ribadito la solita solfa che i problemi maschili sono colpa degli uomini, come ogni e qualsiasi altro male della società: «I primi carnefici degli uomini sono gli uomini stessi» (beh, gli “uomini” come lui sicuramente).

Presento queste due realtà insieme perché stanno collaborando a un evento previsto per il settembre 2025 a Milano, “Hey Man!”, presentato così9: «non dobbiamo lasciare spazio a chi vuole strumentalizzare le questioni maschili. Per questo nasce Hey Man!, un festival maschile imprevisto che apre uno spazio pubblico e culturale di partecipazione e confronto. Tutto quello che vorresti dire – o sapere – sugli uomini trova finalmente un contesto reale, fuori dai social, dove le conversazioni non si chiudono in un commento, ma si aprono in un dialogo … L’obiettivo è dare voce e visibilità a una moltitudine di prospettive». Sulla carta sembra tutto a posto: se davvero si trattasse di un’occasione dove poter parlare di uomini e di mascolinità in chiave positiva e comprendendo davvero una pluralità di prospettive in serio confronto tra loro, ci sarebbe poco da obiettare. Osservando il programma, però, sorgono grossi dubbi sul fatto che in questo festival sarà presente una reale pluralità di prospettive, che troverà davvero spazio “tutto” quello che si potrebbe voler dire sugli uomini, e che non si vuole “strumentalizzare le questioni maschili”. Tralasciando comici e musicisti, tra i tanti relatori troviamo infatti gli stati generali del wokeismo e della misandria nazionale.

Anzitutto Gino Cecchettin, che dopo la tragedia subìta (il brutale omicidio della figlia) va costantemente in giro a propalare l’idea dell’oppressione sistemica delle donne, del privilegio maschile, e dell’urgenza di una rivoluzione culturale e una presa di coscienza morale da parte degli uomini, al fine di decostruire la mascolinità tossica loro intrinseca, e a tal fine con la sua fondazione10 propone indottrinamenti in tal senso a partire dalle scuole elementari11. Poi: Francesca Cavallo, «scrittrice queer, femminista, lesbica, e un’attivista per la parità di genere e i diritti LGBTQIA+», autrice di opere come Storie spaziali per maschi del futuro,«una raccolta di dodici fiabe pensate per aiutare i giovani a riflettere sugli stereotipi di genere maschile e a costruire una nuova visione dell’identità maschile, lontana dalla violenza e dai rigidi modelli della tradizione».

Lorenzo Gasparrini, “filosofo femminista” autore di opere come Perché il femminismo serve anche agli uomini, e Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni dove «descrive la vita di un uomo ripercorrendo le sue vicende, dall’infanzia all’età adulta, per mostrare come il sessismo condizioni il suo sviluppo, il suo linguaggio, le sue abitudini, la sua visione del mondo. I giochi per l’infanzia, i rapporti con l’altro sesso e con gli altri generi, la vita di coppia, il lavoro e la socialità. Ogni uomo incorpora pregiudizi e abitudini sessiste, diventando parte attiva di una politica discriminatoria. Tutto questo può cambiare, ma non si nasce antisessisti: solo una presa di coscienza libera e critica da parte degli uomini sul patriarcato vigente, può offrire uno sguardo maschile nuovo».

I tre youtuber woke del progetto “Ernia Gatta” (due uomini femministi e una “donna trans”, cioè uomo, altrettanto femminista), che nei loro streaming propalano costantemente la visione ideologica e misandrica fin qui descritta. Lea Melandri, tra le maggiori teoriche italiane del femminismo e autrice di opere come Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà dove argomenta sulla “compenetrazione” tra “sentimento amoroso e atto violento” e sul “rapporto di potere tra i sessi” (ovviamente l’uomo è oppressore e la donna vittima a prescindere) che caratterizzerebbe l’amore eterosessuale e la civiltà tutta. Jessica Senesi, “donna trans” (cioè uomo) attivista per “idiritti” degli “elleggibbittì”. Pietro Turano, “attivista lgbtqia+” e consigliere nazionale Arcigay. Serve continuare?

L’unica vera “mosca bianca” sembra essere la Dr.ssa Fulvia Siano, che con il centro antiviolenza Perseo (uno dei pochissimi in Italia a dare supporto anche a vittime maschili di violenza) fa un lavoro egregio e ha tutta la nostra stima. Tuttavia, Siano è una donna, e si occupa in concreto di vittime di violenza, non di attivismo o teorie sociologiche, quindi è arduo sostenere che possa essere lei la vessillifera, per l’intero festival, di una visione positiva della mascolinità. La sua presenza è prevista in un panel (composto per il resto di soggetti allineati, a vario grado, all’ideologia woke) dal titolo “Ma il femminismo serve anche agli uomini?”, così descritto «un confronto schietto su come il femminismo possa essere una chiave di liberazione anche per il maschile». Sottolineo: non “se” lo possa essere, ma “come”. Il sottotesto è prevedibile: ci sono anche uomini vittime e uomini che soffrono, gli organizzatori lo riconoscono, ma sostanzialmente la colpa è da ricondursi alla mascolinità “tradizionale”, con la sua tossicità, e alla cultura patriarcale – agli uomini stessi, qed. E solo abbracciando il femminismo potranno “liberarsi”.

Ormai avrete afferrato il concetto. Il festival Hey Man! rappresenta perfettamente la natura e la dinamica del fenomeno contemporaneo dei “gruppi di autocoscienza maschile”: come questi, infatti, si presenta ostentatamente come spazio di esplorazione e elaborazione positiva del maschile, di confronto sano tra una pluralità di prospettive, di ascolto responsabile, e così via. Ma è solo un’esca, un cavallo di Troia: quello che si fa di fatto è presentare una visione unilaterale e ideologica, patentemente misandrica, quella di una “mascolinità tradizionale” cattiva (espressa con il termine “machista” in senso dispregiativo: qualcosa di impuro da abbandonare), e spingere gli uomini a uno sforzo proattivo di “decostruzione” e “cambiamento”. Verso “modelli alternativi di mascolinità”, che in buona sostanza significa che va bene tutto, fuorché la mascolinità.

Secondo questi ideologi ad esempio il maschile va benissimo se è disposto a femminilizzarsi, per mezzo di un lavoro su di sé volontario e costante. In questi ambienti lo sforzo emasculatorio è infatti esplicito e la fa da padrone, con l’ossessivo richiamo alla urgente necessità per il “maschio” di liberarsi dagli “stereotipi maschili” cattivi come forza, rigidità, razionalità, autocontrollo, competitività, senso di responsabilità e dell’onore, spirito di corpo e di sacrificio; e di imparare a lasciarsi andare alle proprie emozioni, esprimerle apertamente, esporre le proprie fragilità e vulnerabilità il più possibile e ogni volta che si può: in pubblico, in famiglia, davanti ai propri figli, e magari anche sul posto di lavoro, o in situazioni di emergenza, e perché no al parco, in treno, alla cassiera del supermercato…

Ma l’uomo può andar bene e considerarsi mondato dei propri peccati pure se diventa “fluido”, “queer”, aperto a diverse “identità di genere” anche tramite esplorazioni “performative”, ad esempio imparando a non temere di agghindarsi o esprimersi con il corpo e il linguaggio in modi non tradizionalmente maschili (come fanno le drag queens, non a caso portate come esempi positivi nei “Pride”12 e in progetti di “educazione sessuale-affettiva”13 fin nelle scuole elementari – sì, anche qui in Italia14). O magari a sperimentare intimità, relazioni e sessualità insolite, fuori dagli schemi dell’amicizia virile tra “machi” e dalla “tradizionale” coppia uomo-donna monogama, viziata dal disequilibrio di potere che (come certamente ribadiranno i relatori del festival “Hey Man!”) comporta intrinsecamente e necessariamente l’oppressione sistemica e strutturale della donna, la sua “schiavitù” domestica, e la violenza maschile nei suoi confronti, fino al culmine del “femminicidio”. D’altra parte la dottrina della “piramide della violenza di genere”15 lo dimostra in modo inequivocabile, no?

Ci sono perfino sedicenti attivisti per i diritti maschili che, chiaramente avendo perso la bussola, incoraggiano la deriva gender come soluzione per la questione maschile, perché per mezzo di essa gli uomini potranno presentarsi legalmente come donne e così, finalmente “liberati” in gonna e tacchi a spillo, leccare le briciole lasciate cadere a terra dal sistema ginocentrico e femminista. Insomma, va bene tutto, basta che la piantiate con questa idea antiquata, arbitraria, brutta, violenta e intrinsecamente sbagliata di essere uomini.

[CONTINUA]

1 https://maschileplurale.it/

2 https://www.instagram.com/spazio_mask.you/

3 Si veda questo post e i commenti: https://www.instagram.com/p/DM7WP2rvNFp/?img_index=1

4 https://www.osservatoriomaschile.it/

5 Ho documentato l’origine storica e la matrice teorica di questi gruppi nel saggio Il presente senza fine, in AA.VV., AA.VV., Malapianta. Come e perché la guerra tra i sessi inquina la vita e le relazioni umane, Amazon KDP, 2025.

6 https://sonda.it/autore/mica-macho/

7 https://www.instagram.com/reel/DHEZvkIKpso/

8 https://www.editorialedomani.it/fatti/giacomo-zani-mica-macho-intervista-mascolinita-revenge-porn-incel-uomini-carnefici-se-stessi-laudrniu

9 https://mailchi.mp/heymanfestival/hey-man

10 https://fondazionegiulia.org/

11 https://fondazionegiulia.org/cosa-facciamo/i-nostri-progetti/

12 « Le Drag Queen sono scelte come madrine dei Pride poiché simboleggiano la libertà di espressione di genere e l’orgoglio di essere se stessi» (Alessandria Pride 2024) https://www.instagram.com/p/C6dgywBqk9P/

13 Su questo tema e sull’inefficacia di tali interventi al fine di prevenire i crimini violenti, rimando al mio approfondimento in due parti su LaFionda.com: L’educazione sessuale-affettiva e i cavalli queer, 18 e 20 marzo 2025

14 https://www.gay.it/cristina-prenestina-dragqueen-story-hour

15 https://violedimarzo.com/2023/11/20/la-piramide-della-violenza-di-genere/

Canale Telegram che riunisce realtà e figure della Manosphere italiana. Uno spazio di libera informazione e confronto critico, dove prospettive diverse convergono in un’unica rete.

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