«La mascolinità in quanto tale è sotto attacco.»
(Donald Trump, 18/10/2024)
Una obiezione che viene spesso rivolta a chi fa critiche del tipo espresso nella prima parte di questo articolo è: “ma perché non vi fate i vostri eventi, i vostri gruppi, i vostri confronti per parlare nel modo ‘machista’, ‘tradizionalista’ e ‘reazionario’ che piace a voi?”. In realtà da qualche decennio questo ha cominciato a succedere, ad es. nelle manifestazioni intellettuali e nelle comunità online che fanno riferimento alla cosiddetta “manosfera”, e sta portando anche a qualche risultato. Ma c’è da sottolineare che si tratta di una reazione, per esasperazione e piuttosto pallidina, alla crescente misandria ideologica che negli ultimi decenni sta sempre più gravemente infestando la società civile a vari livelli, dal clima culturale diffuso al discorso accademico e intellettuale fino al piano giuridico e istituzionale – basti pensare al “ddl femminicidio” di recente approvazione al Senato, che introduce nero su bianco nel corpus normativo italiano il concetto di “disparità sistemica” tra uomini e donne, e su questa base ideologica crea vittime di omicidio di serie a, le donne, e vittime di serie b, gli uomini.
In realtà, cose come mettersi in cerchio per “verbalizzare” interminabili lagne sui propri problemi, o per esplorare introspettivamente le proprie fragilità, indulgere in pipponi pseudofilosofici su “modelli e ruoli di genere”, fare sforzi proattivi di “espressione delle emozioni” e via dicendo, sono tutto fuorché mascoline: sono attività, comportamenti, tendenze e atteggiamenti tipicamente femminili. È banalmente per questo che difficilmente si vedono uomini creare movimenti fondati su lamentela e vittimismo cosmico, o affollare gli studi degli psicoterapeuti per spaccare in quattro il capello dei propri “vissuti emotivi” (sebbene non intendo negare che, in specifici casi, un uomo possa giovare di una corretta psicoterapia). Anche il focus sull’introspezione e la riflessione discorsiva (interiore, diaristica o dialogica), ad es. per definire la propria identità, sono strategie tipicamente femminili.
La mascolinità si fonda sull’azione, sul rapporto con l’esterno, con il piano materiale, spaziale, concreto dell’esistenza. L’identità mascolina non si può né comprendere né esemplificare mediante ore di sermoni, rimuginii e “lavoro interiore” su emotività, costrutti sociali e a caccia degli stereotipi cattivi interiorizzati: essa viene piuttosto agita, e si forgia e si definisce mediante il suo impatto con gli altri e con l’ambiente esterno. Quando si tenta di verbalizzarla e interpretarla attraverso il filtro di strategie tipicamente femminili e categorie elaborate nei gender studies, si coglie al massimo soltanto una stilizzazione inerte e fallace di quella che è la natura maschile.
Perché sì, esiste una natura maschile (così come una natura femminile), non sono meri “costrutti” sociali “decostruendo” i quali si diventa tutti delle tabule rasae identiche tra loro. Fin dalla saggezza più antica, ad es. la mitologia dei Veda o la filosofia della Grecia classica, è tramandato che l’umano (e la natura tutta) si estrinseca in due principi: uno attivo associato al maschile, e uno passivo associato al femminile. Queste categorie o simboli primari registrano differenze profonde e fondamentali, che derivano da radici biologiche (o, per chi ci crede, da essenze “trascendenti” irriducibili, ad es. lo yin e lo yang), tra gli individui che incarnano tali categorie: differenze di comportamenti, di tendenze, di preferenze, di gusti, di strategie, di sensibilità, insomma di funzionamento generale. E in ogni pratica o ambito in cui si tratta di esseri umani – le “scienze umane e sociali”, l’insegnamento, la cura della salute fisica e mentale, la gestione delle risorse umane e il management industriale o militare, l’organizzazione sociale e politica – è necessario tenere conto di queste differenze, e soprattutto di quella fondamentale: l’uomo incarna il principio attivo, la donna quello passivo. Altrimenti si fanno solo danni, presto o tardi.
Sia ben chiaro, queste distinzioni non vanno intese come un deprezzamento o una diminuzione dell’uno a scapito dell’altro, come molti oggi sembrano intendere. Come quelle stesse antiche tradizioni spirituali e filosofiche insegnano, entrambi i principi sono ugualmente necessari e irrinunciabili perché le cose, nell’universo fisico come in quello sociale, funzionino bene: l’uno senza l’altro andrebbe incontro a sicura autodistruzione e dissoluzione. Né vanno intesi come determinazioni assolute, generalizzabili e imprescindibili: tra gli uomini esistono individui più vicini alla natura femminile, così come tra le donne esistono individui più inclini alla natura maschile e in questo non c’è proprio niente di male o sbagliato (pur essendo eccezioni, una componente largamente minoritaria: bisogna pensare alla classica distribuzione statistica “a campana”1); e con le condizioni della civiltà contemporanea, liberate dai pericoli e dalle difficoltà dell’ambiente antico e preistorico, non è più un rischio per la comunità se qualcuno preferisce “uscire” dalle tipicità del proprio sesso e decidere di improntare la propria vita in modo differente.
Ma queste precisazioni, vere e necessarie, non rendono falsa la premessa: esistono una natura maschile e una natura femminile, profondamente differenti tra loro, e talmente radicate e fondamentali – lungi dall’essere “costrutti” arbitrari e convenzionali – che nell’antica saggezza esse si trovano sempre associate appunto a coppie di principi energetici o essenziali di natura metafisica e assoluta. Alla mascolinità è per natura associato l’aspetto attivo delle forze cosmiche. L’uomo fa2: esplora l’esterno, scompone, spezza, ricompone, costruisce, inventa, affronta fisicamente le minacce, supera limiti e barriere, modifica le cose e l’ambiente. Lo si vede già nei bambini3: fin dall’età di un anno – ben prima che la “socializzazione” con gli “stereotipi cattivi” possa avere il suo impatto –, mediamente ma marcatamente, i maschi mostrano una tendenza per giochi fisici (“rough and tumble”) e giocattoli legati a ambiti come costruzioni e gestione e controllo dello spazio fisico, le femmine per giochi relazionali e giocattoli legati a contesti di cura e accoglienza di figli, persone e ambienti.
Anche nelle sue imprese meno pratiche e concrete, come la ricerca pura o la speculazione filosofica (che comunque coinvolgono una stretta minoranza di individui), l’approccio maschile è comunque improntato alla razionalità, è cioè pragmatico e regolato da principi atti a ordinare, chiarire e orientare a uno scopo concreto i processi di pensiero (si pensi a uno dei capolavori assoluti di questo approccio: il metodo scientifico), mentre l’approccio femminile è responsabile del lato mistico dell’impresa intellettuale umana: pensiero intuitivo e simbolico, olismo, religione, fede, meditazione, abbandono fiducioso alla ritualità e al flusso dell’esistenza, ipostatizzato come “provvidenza”, “disegno divino”, “fato” o “karma”.
Questo condiziona anche il rapporto con le emozioni: mentre la donna le esprime in modo diretto, abbandonandosi al flusso emotivo nella sua mutevolezza e improntandovi sia il proprio linguaggio che le proprie scelte e comportamenti, l’uomo tende invece per natura a gestirle in modo fisico o pratico, comunque mediato nello spazio e nel tempo e attivamente rimodulato nell’espressione esteriore, come in un’attività fisica o manuale o una creazione artistica. E questo è ben motivato da esigenze evolutive: si immagini, nel contesto selvaggio della nostra antichità, cosa sarebbe successo se gli individui di sesso maschile si fossero abbandonati alle proprie emozioni e ad esporle apertamente durante battute di caccia o nel processo di affrontare pericoli o conflitti con nemici; oppure si pensi a quanto può essere dannoso e rischioso, per lo sviluppo sano e quindi la sopravvivenza stessa della prole, un soggetto materno autocontrollato, rigido, severo, incapace di esprimere, anche tonicamente e fisicamente, le proprie emozioni (aspetto di fondamentale importanza nello sviluppo delle competenze psicologiche e sociali, ma anche cognitive4, del bambino) e di abbandonarsi all’istinto e all’empatia.
Il contesto sociale è di certo profondamente mutato, ma non sono mutate le nature profonde dei due sessi, diverse e complementari. Per tutte queste ragioni, pensare di voler insegnare, formare o prendersi cura degli uomini trattandoli secondo le strategie che sarebbero giuste e adatte alla natura femminile, e viceversa, è una strada destinata al disastro. Un bambino maschio ha esigenze e riceve meglio strategie diverse rispetto a una bambina femmina, nell’insegnamento come nel divertimento e nella cura; lo stesso vale per gli individui adulti. Pensare di affrontare i problemi maschili, la “questione maschile”, o la “crisi di identità del maschio” come piace dire agli ideologi, trattando i maschi come femmine, è un assurdo totale. Ad es. facendo loro predicozzi sul fatto che è giusto piangere in qualsiasi situazione se così ci si sente sul momento, o che non bisogna saper affrontare e gestire da sé difficoltà e momenti duri (l’“aspettativa sociale” nei confronti degli uomini di essere forti, “duri”, controllati), ma è più giusto esprimere esternamente il disagio e chiedere o aspettarsi un soccorso dall’esterno: atteggiamento passivo e legato alla natura femminile eternato nel topos della “donzella in pericolo” (che esprime e espone la propria vulnerabilità e chiede aiuto, appunto).
Così come è un assurdo voler far ingoiare a tutti i costi alla donna i comportamenti e le strategie sociali maschili. Ad es. diffondere l’idea che una donna ha valore e può sentirsi realizzata come donna solo se ha una carriera nelle materie STEM o se diventa una manager “di ferro” nell’alta finanza – forte, “dura”, controllata… – mentre se vuole occuparsi di mansioni di cura o (dio ne scampi!) desidera essere “solo” una mamma e una “casalinga”, è oppressa e praticamente una schiava del patriarcato, o perlomeno una sfigata un po’ retrò.
Gli ideologi prendono come bersaglio polemico il richiamo fatto sovente agli uomini di “fare l’uomo”, come nel titolo stesso del già citato libro dei Mica machi, Cosa vuol dire fare l’uomo?: ma se uno è un uomo, non avrà alcun problema a “fare l’uomo”, lo farà in modo naturale. Il problema sorge solo se si pretende a tutti i costi che egli faccia la donna, o viceversa che debbano essere le donne a “fare l’uomo”. Il risultato di tutto questo non può che essere infelicità diffusa5 e un declino della società. Esattamente ciò che stiamo osservando nell’odierno contesto: le disuguaglianze sociali restano e anzi si allargano (esse dipendono da tutt’altri processi), mentre cresce costantemente e esponenzialmente l’infelicità e il disagio interiore in entrambi i sessi, comprese le diagnosi di salute mentale e l’abuso di psicofarmaci e sostanze stupefacenti6, e dove i rapporti di coppia e la natalità sono ai minimi storici e in continua picchiata7. Ma attenzione, tutto ciò non è affatto casuale, o un errore di percorso: è un obiettivo intenzionale.
Almeno ai “piani alti”, dove esiste una strategia precisa e programmata8, in atto da molti decenni, che usa il cavallo di Troia della “parità di genere” e del contrasto alla “violenza di genere”, ma il cui vero obiettivo è quello di isolare e atomizzare l’individuo (obiettivo che ha vari scopi: non è questo il luogo dove discuterne, per cui rimando ad altre analisi9). E il primo passo verso tale obiettivo è sradicare l’individuo dalla propria natura biologica fondamentale e dall’àncora delle saggezze e tradizioni antiche, che ne sono una emanazione: femminilizzare l’uomo, mascolinizzare la donna, e poi un passo alla volta far diventare tutti “queer” e “fluidi”. Ai “piani alti”, dicevo, cioè gli organismi sovranazionali e le élites che finanziano e spingono determinate evoluzioni tecnologiche, scientifiche e culturali piuttosto che altre.
I singoli organizzatori e frequentatori dei “gruppi di autocoscienza maschile”, se in buona fede, sono solo dei miseri burattini manovrati da tali processi, caduti loro malgrado nella trappola di una propaganda velenosa, e foraggiati da quelle stesse fonti. Per chi starà pensando “ecco, un complottista!”: secondo voi da dove arrivano i fondi che pagano il conto del festival “Hey Man!”? Da qualche benefattrice femminista? Da una colletta dei Mica machi? Non esattamente, il progetto – realizzato insieme a realtà come la fondazione di Gino Cecchettin e la femminista Fondazione Libellula10 – è cofinanziato dall’Unione europea e dal bando “Nora against GBV”11 (cioè gender-based violence, “violenza di genere”) di ActionAid International. ActionAid è una associazione “indipendente” e “non governativa” che agisce «contro la povertà e l’ingiustizia»12, i cui fondi derivano però in larga parte13 da enti sovranazionali come Nazioni Unite e Unione Europea e dagli uffici governativi di varie nazioni tra cui Regno Unito, Australia, Italia, Danimarca dedicati a “programmi di sviluppo e cooperazione internazionale” (nei quali è incluso l’aspetto di uniformazione e trasformazione culturale, che ovviamente va nella direzione ideologica voluta dai finanziatori). E tra i finanziatori figura significativamente pure il NORAD14, il Comando di Difesa Aerospaziale congiunto USA-Canada (chissà perché danno soldi a progetti contro la “violenza di genere” e sulla “autocoscienza maschile”, eh?).
Ora il lettore avrà tutto chiaro: il quadro è completo. È dovere di tutti coloro che gravitano nella “manosfera”, o comunque hanno a cuore il benessere e il futuro degli uomini (e delle donne), dire un forte e deciso “no” a tutto questo. Per definire l’identità maschile non abbiamo bisogno di questa ideologia, che respingiamo, e dei suoi profeti, spesso marionette nelle mani di lobby che stanno accompagnando l’umanità, o perlomeno gli ambiti definiti dall’influenza “occidentale”, verso un futuro grigio e distopico (dal quale solo quelle stesse élites che finanziano tali progetti avranno da guadagnare). E la “crisi del maschile” contemporanea non può essere affrontata, ovviamente, con le strategie proposte da quegli stessi soggetti che la stanno scientemente generando: anzi quelle strategie, presentate come risolutrici, vengono impiegate apposta per dare all’uomo, al “maschio”, il colpo di grazia finale.
Una via d’uscita da tutto questo non può che passare attraverso una necessaria riscoperta dell’uomo, nel senso proprio della mascolinità tradizionale e naturale, dei ruoli e delle virtù tipiche della virilità, in chiave positiva, di celebrazione, esaltazione e integrazione nel contesto delle nuove caratteristiche e sfide della modernità15. A questo fine, c’è bisogno di soggetti capaci di incarnare nell’esempio e nella guida concreta – con orgoglio, non con l’automortificazione oggi diffusa e predicata da quegli ideologi – la via maschile profonda, radicata nella biologia dei sessi e nell’antico fuoco della tradizione (è per questa esigenza che figure come Donald Trump, Andrew Tate, Jordan Peterson, pur con i loro difetti, eccessi e inciampi, riscontrano un tale successo tra gli uomini, specie i più giovani, e nella “manosfera”). C’è bisogno di veri uomini, insomma: niente di macchiettistico o troppo articolato, semplicemente uomini (=persone di sesso maschile) ma coscienti di sé, delle proprie virtù e potenzialità tipicamente virili, e fieri di esserlo. Non a caso “vero uomo” è una formula che quegli ideologi detestano e rifuggono come uno spauracchio: ma d’altra parte, ai loro “cerchi di autocoscienza” e seminari e festival di decostruzione e automartellamento gonadico, difficilmente si vedranno partecipare degli uomini veri.
Il termine “macho” rappresenta bene questo ideale. Usato dispregiativamente dagli ideologi antimaschili – uno dei gruppi citati si chiama appunto “Mica Macho”, un altro, lo “Spazio_Mask You”, descrive16 la propria mission «immaginiamo un’alternativa al machismo» – e caratterizzato unicamente come simbolo di atteggiamenti maschilisti, retrivi e violenti, in realtà nasce per indicare gli uomini con caratteristiche virili molto ben visibili (tipicamente i “latini”); e da dizionario (dal latino masculus) indica semplicemente l’ostentazione marcata e orgogliosa delle caratteristiche, anche comportamentali, tipiche della mascolinità. Ecco: da queste pagine richiamiamo all’esigenza, urgente, di un nuovo machismo, un nuovo orgoglio maschile, mediante il quale si possa dare nuova ispirazione e linfa all’uomo contemporaneo, affinché possa ritrovare sé stesso e i propri ruoli ideali, e integrarli efficacemente nel contesto moderno, artificialmente iperfemminista e iperfemminilizzato. Uomini, il mondo ha un disperato bisogno di voi.
1 https://it.wikipedia.org/wiki/Distribuzione_normale
2 Cfr. Davide Stasi, Disciplina al fare e identità maschile, LaFionda.com 29 agosto 2023.
3 Davis J. T. M., Hines M., How Large Are Gender Differences in Toy Preferences? A Systematic Review and Meta-Analysis of Toy Preference Research, Arch Sex Behav., Feb 2020, 49(2); B. Todd et al., Sex differences in children’s toy preferences: A systematic review, meta-regression, and meta-analysis, Infant and Child Development, Nov 2017, 24(7); Davis, J. T. M., Hines, M., The Magnitude of Children’s Gender-Related Toy Interests Has Remained Stable Over 50 Years of Research, Arch Sex Behav., 2021, 50.
4 Cfr. ad es. Tyng C. M. et al., The Influences of Emotion on Learning and Memory, Front Psychol., Aug 2017, 24(8).
5 https://ifstudies.org/in-the-news/new-poll-shows-liberal-women-the-most-unhappy-lonely; https://www.theguardian.com/society/2023/sep/13/happiness-of-girls-and-young-women-at-lowest-level-since-2009-shows-uk-poll; https://www.theguardian.com/commentisfree/article/2024/jul/22/loneliness-is-killing-men-and-without-proper-support-and-intervention-nothing-will-change; https://fortune.com/well/2025/05/21/gen-z-millennial-men-loneliness/
6 https://sip.it/2025/03/12/giovanie-dipendenze-allarme-alcole-e-droghe/
7 https://www.ilsole24ore.com/art/denatalita-shock-5-milioni-lavoratori-meno-2040-AHI0DPhB; https://mondosanita.it/denatalita-uno-tsunami-per-lintera-europa/
8 Cfr. su questo il preziosissimo La guerra del gender di Dale O’Leary, Rubbettino, 2017.
9 Si veda ad es. Boni Castellane, In terra ostile, Signs Publishing, 2023; Douglas Murray, La pazzia delle folle, Neri Pozza, 2020; Jennifer Bilek, Transsexual transgender transhuman, Spinifex, 2024; Carl Rhodes, Capitalismo woke, 2023, Fazi Editore.
10 Un «network di aziende, persone e comunità unite dalla volontà di prevenire e contrastare la violenza di genere e ogni forma di discriminazione … che agisce per un cambiamento culturale profondo, attraverso la formazione, la sensibilizzazione e l’educazione» https://www.fondazionelibellula.com/
11 https://www.actionaid.it/progetti/nora/
12 https://www.actionaid.it/chi-siamo/
13 https://actionaid.org/our-funding
14 https://it.wikipedia.org/wiki/NORAD
15 Su questo cfr. anche Davide Stasi, Gerarchia ed etica alla deriva, in AA.VV., Malapianta. Come e perché la guerra tra i sessi inquina la vita e le relazioni umane, Amazon KDP, 2025.
16 https://www.instagram.com/p/C5l7AwTN1Qf/
Parte 1: ¡Que viva el macho! (1) Critica dei “gruppi di autocoscienza maschile”
Leggi anche:
- NOT ALL MEN – La narrazione ideologica della “violenza di genere” al vaglio della ricerca scientifica
- DONNE ALLO SBARAGLIO: la progressiva inclusione femminile nelle forze armate
- La divisa da carceriere e le prigioni dell’identità – La rivisitazione critica dello Stanford Prison Experiment cinquant’anni dopo: cosa ci rivela sulla natura umana, e su quella dei conflitti sociali
Un commento