Gino Cecchettin – non ha senso attaccarlo: il problema è chi fa di lui un “profeta”

Gino Cecchettin, padre di Giulia Cecchettin, ha recentemente espresso critiche nei confronti dei testi sessisti presenti in alcune canzoni. Insomma, un’altra delle sue uscite…

Le sue dichiarazioni, così come quelle dell’altra figlia – la sorella di Giulia – sono spesso finite al centro dell’attenzione mediatica mainstream. Personalmente, non ho alcuna intenzione di giudicarli o attaccarli: sono persone profondamente segnate dalla perdita brutale di una persona amata (Giulia è stata uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, un uomo incapace di gestire il rifiuto e la perdita, il cui gesto estremo è stato l’esplosione di una psiche fragile e instabile).

Quando si analizza la posizione di un padre colpito da un trauma tanto devastante, è necessario considerare quanto tale esperienza possa alterare la sua percezione della realtà. È comprensibile, e forse persino inevitabile, che il senso della sua esistenza venga riorganizzato attorno al bisogno di attribuire un significato alla tragedia: dare senso alla morte della figlia trasformandola in una missione contro il fantomatico patriarcato o contro qualunque altra entità simbolica.

Questa missione si concretizza, spesso, in un impegno pubblico: nella promozione di cause che, da un punto di vista razionale, possono risultare fumose, fragili o viziate da errori logici. Ma la coerenza logica non è il punto centrale del discorso…

Non attribuisco particolare rilevanza alle sue affermazioni, qualunque esse siano, non per disprezzo, ma perché provengono da una persona che non è esperta del settore. Spesso, non sa esattamente di cosa parla e le spara grosse. È un uomo comune, comprensibilmente scosso dal trauma, soggetto a bias cognitivi e inevitabilmente influenzato dal proprio vissuto. Ed è del tutto naturale che porti avanti la sua causa con forza, come mezzo per restare in vita, pur con tutti i limiti che essa può contenere.

Insomma, anche se dice cose prive di reale capacità critica, come la questione dei testi sessisti nelle canzoni, io non me la prenderei con lui. Lo comprendo, e mi dispiace per il dolore con cui è costretto a convivere. Me la prendo, piuttosto, con il giornalismo italiano: incompetente, servo del pensiero unico, sempre pronto a cucire intorno a lui la figura di un profeta. Perché l’emotività genera consenso. I media non cercano verità, cercano narrazioni che uniscano la massa attorno a simboli forti e semplici. Trasformare Gino Cecchettin in una figura sacralizzata serve a creare un vettore emotivo potente, utile a spingere un’agenda già prestabilita, quella del vittimismo sistemico femminile e della demonizzazione dell’uomo come archetipo culturale.

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2 risposte

  1. Il discorso è sensato e diamo pure a Cecchettin il beneficio del dubbio, supposto che sia anche vittima di un’improvvisa celebrità a cui non era abituato e la confonda con quella celebrità che si ottiene per meriti propri. Resta però una questione. Per quale motivo in altri casi di omicidi altrettanto insensati, o il pubblico viene invitato a non generalizzare, oppure viene dato grande risalto a chi decide di perdonare, dando a intendere che sia la scelta più giusta, oppure addirittura (e questo succede spesso e volentieri quando la psiche fragile e instabile incapace di gestire il rifiuto e la perdita è quella femminile) si invita ad avere empatia e comprendere chi ha commesso il gesto, mentre in casi come questi la colpa non solo è assoluta e senza attenuanti, ma viene allargata senza il minimo ripensamento a un’intera categoria di persone, nella fattispecie il cosiddetto “maschio italiano” colpevole di patriarcato, un patriarcato appunto fantomatico?

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