Nella piazza di Firenze, dove l’arte ha celebrato per secoli la grandezza dell’uomo, oggi si erge una statua dorata che non volge lo sguardo all’infinito, ma lo abbassa verso lo schermo di uno smartphone.
“Time Unfolding” dell’artista Thoma J Price è un pugno nell’occhio per la città di Firenze. È il trionfo della mediocrità.
Dove un tempo la scultura immortalava ideali, virtù, potenza, ora esalta la quotidianità più piatta, magari quella del deepscrolling compulsivo, dello sguardo fisso, assente, assuefatto da una cascata di dopamina digitale tra notifiche e distrazioni. Non c’è più spazio per l’ideale, per l’eroe, per il mito. Ora è il tempo della ragazza comune, senza gloria né scopo, cellula alienata del sistema, immersa nel suo mondo digitale.
Questa statua è un monumento all’alienazione quotidiana. È l’immagine perfetta di un’epoca che ha paura dell’eccellenza.
Nessuna posa solenne. Nessun piedistallo. Solo l’elevazione della normalità a nuovo standard estetico-culturale. Perché tutto dev’essere facile, inclusivo, accessibile. Anche l’arte deve piegarsi. Abbassarsi. Rinunciare al sublime per abbracciare il mediocre e demolire qualsiasi scala di grandezza. L’eccezionale non deve più esistere. Spaventa. Esclude. Divide. L’arte non come vetta da raggiungere, ma come specchio opaco del nulla.
Una messa in scena ideologica che stride con la maestosità immortale delle statue fiorentine. Quelle sì, resteranno nei secoli. Questa? verrà rimossa, archiviata e dimenticata dalla storia.
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Ciò che si decompone non può rigenerarsi, ma può solo rinascere, sotto altre forme.
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