Nel quartiere in via Giuseppe Parini, Monterusciello, frazione di Pozzuoli, è avvenuto quello che sembra essere stato a tutti gli effetti un omicidio-suicidio. Antonio Di Razza, di 50 anni, durante una discussione intensa con sua moglie, Angela Gioiello, di 39 anni, ha preso un revolver e le ha sparato un colpo mortale al volto. In seguito ha puntato l’arma contro se stesso e si è ucciso.
Questa notizia mi tocca particolarmente perché sono cresciuto a Monterusciello, nei cosiddetti seicento alloggi, un grigio quartiere popolare di Pozzuoli, costruito dopo il terremoto dell’80, poco distante dal luogo dell’accaduto. Inoltre, da ragazzino ero solito andare alla pizzetteria “Pizza e…” sita in centro a Pozzuoli nella quale lavorava Antonio. Ho in un certo senso incrociato la vita di queste persone, ma loro nella mia storia sono solo stati personaggi secondari di sfondo così come io per loro. Vite che si incrociano, si dimenticano, si passano accanto e proseguono dritte, ognuna disinteressata dell’altra…
Tuttavia fa sempre un certo effetto sapere che persone che hai incrociato nell’arco della tua esistenza, in apparenza ordinarie, che magari un giorno ti hanno anche servito una pizzetta o un crocchè, possano diventare protagoniste di eventi così tragici.
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Monterusciello, Frazione di Pozzuoli, provincia di Napoli
Ad ogni modo, la domanda che sopraggiunge spontanea: cosa potrebbe essere successo?
La gelosia sembra essere stata il movente dell’omicidio. Un sentimento potente che può diventare distruttivo e accecante. È probabile che qualcosa di grosso sia successo, ad esempio che lui abbia scoperto il tradimento della moglie e accecato dalla rabbia cieca, dalla gelosia furente l’abbia uccisa sparandola al culmine di un feroce litigio.
Preso poi dall’ineluttabile disastro, nel terrore oscuro della follia che si fa consapevolezza, nella contemplazione del silenzio dell’atto compiuto, in un flusso caotico di pensieri di ogni tipo e sensazioni inimmaginabili, punta la pistola alla tempia e si ammazza.
Tre figli orfani, 8, 13 e 16 anni, tre figli che in un istante perdono mamma e papà, e forse anche una parte di loro stessi. Un giorno per quei ragazzini che, solo a pensarci, mi dà i brividi. Soli, tra l’eco di urla smarrite e la disperazione che sopravanza. Immagino il sordo brusio ovattato della strada, i cani che abbaiano dopo i rumori degli spari, i corpi immobili, esanimi riversati in una pozza di sangue che si addensa tra le fughe delle mattonelle. Immagino la sensazione di smarrimento e il vuoto alla testa, le gambe molli, le vertigini, gli occhi sbarrati, la saliva che si secca del figlio più grande, che scende in cortile per chiedere aiuto, nonostante non potesse a causa di una convalescenza forzata dovuta ad un incidente che lo aveva coinvolto giorni prima.
Il peggior giorno della loro vita, quello che appare negli incubi, che ti risveglia la notte; quello che si fa lama di ruggine e solca la pelle, la rivolta al contrario, e incide all’interno emblemi permanenti di orrore. Ricordi che non si affievoliscono, ma mutano, si trasformano in mostri che ne distorcono i tratti. Un parallasse di paure e immagini cristallizzate, ferme nel loro ultimo terrore. Suoni di un eco infinito, che fischiano ad ogni rievocazione dal profondo dell’animo. Dolore puro.
Alla radice degli omicidio-suicidio c’è l’amore che si corrompe in odio: la sua trasmutazione speculare nella forma più brutale che possa assumere. Ciò è spesso il risultato di un processo graduale. Può iniziare con piccole delusioni o incomprensioni, che si accumulano nel tempo e alimentano sentimenti di rancore o risentimento che possono degenerare in atti di violenza, quando l’individuo non è più in grado di gestire le sue emozioni negative. Oppure può trasformarsi in odio quando la persona oggetto dell’investimento emotivo non corrisponde all’ideale e crea una frattura, un trauma che se mal processato porta ad un escalation di reazioni folli e inconsulte.
l’omicidio-suicidio è un atto di disperazione estrema, in cui l’individuo cerca di far sentire il suo dolore all’altro, anche a costo della propria vita. È una delle manifestazioni più tragiche e devastanti dell’amore corrotto, l’epitome di tutte le tragedie sentimentali.
Non giustifico in alcun modo l’atto commesso, ma esprimo la mia visione su come l’amore possa degenerare in omicidio-suicidio in circostanze particolari.
Il mio pensiero in questo momento va soprattutto ai figli, che ora dovranno vivere con questo fardello per tutta la vita. Spero che un giorno possano fare i conti con il proprio passato e andare avanti.
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Ciò che si decompone non può rigenerarsi, ma può solo rinascere, sotto altre forme.
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