Qualche tempo fa ho letto L’Iliade di Omero, uno tra i classici per eccellenza. Mi ha sorpreso accorgermi dello spirito di questi Uomini, di questi Eroi sospesi in un’epoca senza tempo, le cui gesta sono giunte integre fino a noi.
In Particolare, mi ha sorpreso accorgermi quanto, nonostante incarnassero l’essenza pura dello spirito Guerriero, le loro azioni fossero estremamente umane.
Come ignorare “l’Ira funesta del Pelide Achille” o il fatto che lui stesso, il guerriero migliore tra i più valorosi, un semi-dio, si strappasse persino i capelli dal dispiacere, dalla collera e dalla disperazione per aver scoperto che il suo prediletto, Patroclo, fosse rimasto ucciso in battaglia.
Il racconto l’ho trovato entusiasmante, mi ha fatto riflettere. Ancora oggi, di tanto in tanto, mi fa riflettere…
Nell’epoca in cui viviamo, si dibatte sulla capacità dell’uomo di essere “emotivo”. In realtà, questo dibattito non si è ancora concluso, ma sta già mostrando una parte dei suoi effetti distruttivi, legati al fraintendimento che ne scaturisce.
La maggior parte degli uomini, infatti, si è spaccata perlopiù in due fazioni: i
favorevoli e i contrari.
I primi ritengono giusto che l’uomo esprima le proprie emozioni.
“Non c’è nulla di male se un uomo piange” (come se esprimere le proprie emozioni fosse tutto lì, nelle lacrime).
“E’ perfettamente normale che un uomo mostri le sue debolezze in pubblico”. (Si, certo, come no).
I secondi, invece, si trincerano dietro l’idea che un vero uomo debba nascondere i
propri sentimenti, per non apparire debole (Se male odora e ha peli folti è ancora
meglio).
Così, nel tentativo di mostrarsi per quello che NON è, finisce per reprimerli,
infliggendosi tormenti e danni di propria (inconscia) volontà.
Gli uni hanno dato spazio a uomini effeminati e piagnucolosi, gli altri a uomini
repressi e rigidi.
E’ chiaro che questo risultato non è ciò che ci si aspettava e il terreno è fertilissimo perché crescano sempre più uomini deboli, incapaci di vivere la vita per come si presenta e per di più incapaci di rapportarsi con l’altro sesso.
Dove nasce dunque il fraintendimento distruttivo? Dove l’uomo ha rinunciato alla propria mascolinità, scegliendo tra l’essere una bimba indifesa o un automa?
Torniamo un momento all’Iliade.
Ho la convinzione che gli Antichi, benché non avessero la possibilità di scegliere
l’auto nuova da pagare in 84 comodissime rate, possedessero una conoscenza e una
saggezza che noi oggi stiamo scegliendo d’ignorare di proposito, benché ancora a
nostra disposizione.
Leggo di questi eroi, probabilmente rappresentazioni stereotipate di uomini-esempio della società che li ha partoriti, e leggo di coraggio, di furore, di conquista, ma anche di collera, di tristezza, di rammarico.
Leggo di amore persino.
L’uomo antico coltivava la propria mascolinità, la incarnava, senza per questo motivo mostrarsi effeminato o ottuso.
L’uomo antico esprimeva i propri sentimenti ed emozioni (del tutto naturali), senza snaturarsi.
Ecco, qui sta il fraintendimento distruttivo dei giorni nostri: l’uomo, invece che
emotivo, dovrebbe essere consapevole delle proprie emozioni.
Qui sta il punto focale dove guardare con attenzione, per scorgere tra le maglie
intricate della mediocrità e dei fraintendimenti, piccoli frammenti dell’Uomo che verrà.
Si è creduto che “Uomo emotivo” significhi essere un uomo incapace di controllarsi,
capriccioso, dedito perlopiù al piacere e in quanto tale legittimato ad esserlo.
Si è creduto che “Uomo emotivo” significhi lasciar scorrere la lingua liberamente,
piagnucolare, cercare appoggio da qualche altra parte che non sia in sé stesso ( tipo la
compagna di turno).
Ma questa non è la sua natura, questo non è ciò che un uomo è chiamato a essere. E
gli effetti nefasti di una simile concezione di uomo si mostrano ogni giorno di più nel
tessuto sociale in cui siamo avvolti.
Si è creduto che così facendo si evitasse di coltivare l’idea di uomini automi, incapaci
di rimanere in contatto con la propria interiorità, tutto muscoli (forza lavoro) e niente cervello.
Ma tutto ciò ha prodotto effetti distruttivi nell’uomo e di conseguenza nei rapporti
sociali tra uomo e donna.
Cosa invece potrebbe essere richiesto all’Uomo?
Come districare questa matassa di fraintendimenti e perbenismo che evirano l’uomo è mascolinizzano la donna?
All’Uomo di oggi potrebbe esser chiesto di entrare in contatto con le proprie
emozioni e con i propri sentimenti, non perché si trasformi in un essere femmineo
incapace di realizzare sé stesso, buono solo a frignare e intriso di bisogni che non sa
come soddisfare.
Di questo genere di uomo, la società non sa che farsene e la prova è tutta rintracciabile nel trattamento ignobile sempre più frequente che gli riserva il gentil sesso, da sempre specchio cristallino dello stato di salute dell’Uomo stesso. Ma è chiaro che la società non ha più bisogno nemmeno dell’uomo-macchina, buono solo ad arare il terreno o a lavorare in fabbrica, del tutto anacronistico rispetto all’evoluzione che procede.
Per concludere, oggi all’uomo è chiesto di ri-conoscere ciò che abita dentro di lui. L’uomo ha il dovere di accogliere quell’Universo fatto di emozioni e sentimenti che, se osservato in silenzio, saprà condurlo verso una nuova epoca di splendore e di benessere.
Quindi ogni alito di paura, potrebbe essere un’occasione per sviluppare il coraggio, non per fuggire via (o reprimerla).
Ogni lampo di rabbia, potrebbe essere un’occasione per imparare a far rispettare i
propri bisogni con assertività, non di aggredire ciecamente (o reprimerla).
Ogni notte di tristezza, potrebbe essere un’occasione per riconoscere sé stesso e
allinearsi al proprio cammino, non per deprimersi davanti alla TV (e reprimerla).
E così via…
Allora l’Uomo potrebbe cominciare a concepirsi completo, libero da ogni genere di bisogno e perciò capace di fare con dedizione ciò che la sua natura lo chiama a fare: proteggere, costruire, conquistare.
Amare.
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Una risposta
Ottime considerazioni, che potrebbero dare la stura ad altre.
“Donna si nasce, uomo si diventa”; per diventarlo, occorre un mentore, che dovrebbe essere incarnato principalmente dal Padre; a partire dalla Prima Rivoluzione Industriale (uomini che lasciavano la loro casa e terra per andare a fare i salariati in miniera o nella fabbrica in città) – e con l’aggravante dei due conflitti mondiali, durante i quali le madri erano rimaste sole a mandare avanti la famiglia – si è determinata la rottura della “catena generazionale maschile”.
I Padri hanno perso il sapere maschile da trasmettere; hanno ripreso il proprio posto in famiglia solo “mammizzandosi”.