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Ipergamia femminile sul luogo di lavoro
Un esempio di ipergamia femminile è possibile riscontrarlo sui luoghi di lavoro. L’ipergamia femminile si manifesta quando le donne sono inclini a formare legami con uomini che percepiscono come superiori in termini di status, risorse e attrattiva fisica. Questo fenomeno, che ha radici profonde nella psicologia evolutiva, suggerisce che le scelte femminili nella selezione del partner sono guidate, almeno in parte, da una valutazione inconscia del potenziale di un uomo di offrire stabilità, sicurezza, risorse abbondanti, tratti fisici indicativi di buona salute e vitalità, e un pool genetico vantaggioso per la propria prole.
In contesti lavorativi, questa tendenza può manifestarsi in modo più sottile. Le donne possono favorire collaborazioni o alleanze con colleghi maschi che hanno ruoli di potere o che sono visti come influenti o in posizioni di rilievo nella gerarchia aziendale, a volte trascurando o marginalizzando quelli percepiti come inferiori o meno utili per la propria carriera.
Purtroppo, non tutti noi abbiamo il privilegio di lavorare in un ambiente dove siamo a contatto solo con persone che apprezziamo; non è sempre possibile scegliere i propri collaboratori. Dunque, capita spesso che dobbiamo condividere il nostro ossigeno con persone che normalmente non vorremmo mai frequentare: come la classica acida divorziata che sfoga le sue frustrazioni sui colleghi o con il pubblico; come il collega verme che fa la bella faccia davanti e ti parla alle spalle – magari quando arrivano altri assunti, è il primo a farti cattiva pubblicità, salvo poi darti qualche pacca sulla spalla e chiederti come stai.
Classismo, emarginazione e frustrazione
Di questi ambienti tossici ne ho le scatole piene. Ma ciò che ho avuto modo di notare è come il classismo femminile in questi luoghi tocchi picchi assurdi, inverosimili. Non che gli uomini non agiscano male, ma tendono più a considerare un collega “inferiore” come innocuo, poco pericoloso e, pertanto, non lo stimano di certo, ma sono più propensi a non emarginarlo e a includerlo comunque.
Certo, è un discorso molto generale, ma quello che succede da parte delle donne è tendenzialmente diverso: una parte piuttosto nutrita di loro tende ad essere molto distante, come ad escludere completamente il collega perché ritenuto inferiore in termini di skill e status; in alcuni casi, lo privano del saluto e sono anche quelle che in prima linea attuano una grande campagna diffamatoria verso il collega, anche se quest’ultimo non ha detto nulla contro di loro. Anzi, a maggior ragione, quando questo si tira fuori da certe dinamiche, tende ad essere ancora più criticato perché il suo atto di autoisolamento viene percepito come una forma di snobismo da attaccare e criticare.
Inoltre, non solo diventano feroci con altre colleghe che rappresentano, in un certo senso, un pericolo, soprattutto se vanno a diventare possibili concorrenti per attirare le attenzioni di un superiore o se sono belle e gentili, ma si incattiviscono con i colleghi che sono ritenuti uomini di serie B, quindi scarti.
Donne acide e il loro rancore velenoso
La loro tendenza ipergamica è dunque portata all’estremo, solo che sono incapaci di ottenere una vita soddisfacente e finiscono spesso per diventare delle donne acide, gattare infelici, piene di rancore verso il mondo maschile. Il loro cuore è come una periferia di una metropoli abbandonata: tanto cemento e grigiore. Non cresce più nulla da quelle parti e ogni relazione è presa in considerazione solo in termini di costi e benefici.
Relazioni transazionali e rapporto con i figli

Trascurando la componente affettiva, molte donne acide si trovano incapaci di gestire emotivamente le relazioni di coppia, figuriamoci una famiglia con figli. La componente affettiva è importante in ogni relazione umana, particolarmente in quelle intime. La connessione emotiva, che comprende l’empatia, la comprensione reciproca e il supporto, è fondamentale per il benessere psicologico di tutti i membri di una famiglia. Senza queste abilità emotive, le relazioni diventano transazionali, riducendosi a un calcolo di dare e avere. Questo approccio può creare un ambiente familiare freddo e distaccato, dove i legami affettivi sono deboli o assenti.
Si dà il caso che spesso il rapporto con i figli sia conflittuale, difficile, o ci sia un rapporto basato sempre sul dare e avere, quindi su costi e benefici, facendo crescere figli incompleti emotivamente e spesso viziati, perché cercano di colmare i loro vuoti in qualche modo. A loro volta possono sviluppare una visione distorta delle relazioni interpersonali, vedendole come mere transazioni. Spesso cercano di compensare queste carenze affettive con materialismo o comportamenti deviati, in un tentativo disperato di trovare un senso di sicurezza e appartenenza che non hanno mai sperimentato in famiglia.
Fate attenzione
Se vi trovate in una relazione con una donna di questo tipo, fate attenzione: potrebbe pretendere molto più di quello che è disposta a dare e ritenere che sia giusto che le cose stiano così, credendo che voi dobbiate fare tutto il necessario per soddisfarla. Questo atteggiamento è il risultato di una retorica distorta che sostiene che le donne abbiano il diritto di chiedere e meritare senza dover necessariamente dare o impegnarsi in modo equivalente nella relazione.
Una sorta di femminismo degenerato, utilizzato come comoda veste ideologica per giustificare un atteggiamento di auto-vittimizzazione che esenta le donne dall’assumersi responsabilità reciproche all’interno di una relazione. Serve come una conveniente maschera ideologica, che permette di manipolare le dinamiche sociali e personali a proprio vantaggio, spesso a discapito del partner e di un’equa ripartizione di impegni e sacrifici nella coppia.
Potreste diventare vittima di pretese irragionevoli e ritrovarvi a subire tutto il veleno e l’angoscia che questa donna ha da riversare sul mondo. Non essendo in grado di risolvere le sue ferite del passato, l’unico modo che ha trovato per gestire il suo malessere interiore è quello di trovare una valvola di sfogo nel presente, ovvero scaricare su di voi le sue frustrazioni e il suo rancore.
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Ciò che si decompone non può rigenerarsi, ma può solo rinascere, sotto altre forme.
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2 risposte
Ho apprezzato l’articolo, specialmente per ciò che ho personalmente riscontrato sull’acidità femminile nell’ambiente di lavoro, verso i colleghi e il pubblico (atteggiamento favorito dall’impunità assicurata dai superiori gerarchici, visto che ogni giusta reprimenda può essere oggi interpretata e spacciata come discriminazione sessuale).
Ho perplessità sul discorso dell’aridità del dare-avere contrapposta alla presunta affettività-compassione (l’empatia è cosa alquanto diversa: l’intuire lo stato d’animo dell’altro non comporta necessariamente l’intento di aiutarlo; anzi, può diventare uno strumento per manipolare l’altro, avendone compresi i bisogni emotivi; comprensione in cui le donne sono più abili, come strategia evolutiva).
Le relazioni si svelano una volta messe alla prova: fatta eccezione per quella genitore-figlio – nella quale c’è un dare “a fondo perduto”; e neanche sempre, perché non mancano i genitori che mirano al proprio futuro accudimento in età senile -, l’implicita e romantica promessa “nella buona e nella cattiva sorte” viene poi smascherata quando uno cade in disgrazia nel lavoro o nella salute; ho personalmente conosciuto più uomini che, dopo lunghe relazioni/matrimoni, sono stati abbandonati una volta diventati non autosufficienti.
Sì, comprendo il tuo discorso man. Hai sollevato delle riflessioni interessanti. Per quanto riguarda il discorso empatia, solitamente in psicologia si distingue empatia affettiva (la capacità di provare le stesse emozioni di un’altra persona) e empatia cognitiva (la capacità di comprendere razionalmente le emozioni altrui senza necessariamente provarle in prima persona), quest’ultima tipica dei manipolatori. Per non dilungarmi troppo ho preferito non scendere su nei dettagli nell’articolo su questo punto.